Dario Fo |
QUELLA VOLTA CHE
IO E DARIO FO…
di Alfredo Romano
di Alfredo Romano
Affaccendato a
frequentare il liceo a Galatina alla fine degli anni Sessanta e ancor
più nelle estati roventi a raccogliere e infilzare tabacco in quel di Civita
Castellana, davvero ignoravo una qualche passione per il teatro. A dire il vero
a Galatina avevo saggiato una rappresentazione e fu quando fummo invitati
tutti noi alunni delle scuole superiori a una matinée al Cavallino Bianco per
assistere alla Locandiera di Goldoni.
Il ricordo è traumatico perché, nel corso della messinscena, si susseguivano
sghignazzi, risa, frasi ingiuriose e volgari verso i poveri attori che con
fatica si guadagnavano il pane.
Dario Fo e Franca Rame |
Alla stazione mi
aspettava il mio amico Sebastiano, ex compagno di scuola delle elementari a
Collemeto, un tipo in gamba che conosce tutti i mestieri del mondo, geometra
perfino, col diploma conquistato alle scuole serali dopo otto ore di lavoro.
“Beh, che si fa
stasera, Seba?”
“Oh, stasera andiamo
a trascorrere la notte di capodanno con Dario Fo e Franca Rame: vedrai che ce
la spassiamo.”
Dovete sapere che
Dario Fo fu cacciato dalla Rai nel 1962 perché, nella conduzione di Canzonissima, una popolare trasmissione televisiva di varietà della RAI, aveva
denunciato, teatro facendo, i troppi morti sul lavoro in Italia. Fo aveva rotto
il giocattolo degli italiani, ma non si diede per vinto. Anni dopo occupò a
Milano un ampio capannone dismesso e lo ristrutturò col lavoro di amici e
compagni: al centro il palcoscenico e tutt’intorno le gradinate per un numero
di mille spettatori. Fu quella la prima volta che assistetti a uno spettacolo
di Dario Fo.
Si fece buio in
sala, una donna in nero (Franca Rame, moglie di Fo, artista anche lei) era
riversa sul figlio ucciso dalle milizie dei colonnelli greci nel corso di una
manifestazione di protesta. La piece era
tratta da Epitaffio e Makronissos del
poeta greco Giannes Ritsos. Ricordo che non
volava una mosca e tutti, me in specie, eravamo attoniti di fronte a una
testimonianza di dolore e di denuncia in forma di versi. Ecco, mi dissi, questo
è il teatro, quello tradizionale non bastava più ormai, c’era bisogno invece di
un teatro d’impegno che si aprisse al sociale, ai mali del nostro paese e del
mondo intero.
Venne quindi il
turno di Dario Fo a rappresentare Mistero Buffo, una giullarata
popolare,
un insieme di monologhi dove descriveva alcuni episodi di argomento biblico
ispirati ad alcuni brani dei vangeli apocrifi o ai racconti popolari sulla vita di Gesù. Tutto in forma esilarante, giocosa e con grande bravura mimica,
Dario Fo vestiva i panni di un monaco eretico come ai tristi tempi della
Controriforma, roba da meritarsi il rogo dal momento che proclamava il
tradimento del Vangelo da parte della Chiesa ufficiale.
Ma poi scoccò la
mezzanotte e tutti a far festa e a brindare con panettone e lambrusco che gli
stessi Dario e Franca smistavano a tutti i convenuti. Alle due di notte tutti
in corteo
verso Piazza Duomo a continuare la festa con musica, canzoni e balli
dileggiando, si fa per dire, il capodanno borghese. Feci amicizia con uno
spagnolo (non ricordo più il nome), col quale girai le piazze e le strade fino
all’alba puntando sulle abitazioni di suoi amici. Prima di lasciarci, mi regalò
proprio il libro di poesie Epitaffio e
Makronissos e un disco 33 giri di Luigi Tenco. Mi rivelò lo spagnolo che
nel 1960 aveva partecipato ai moti di Reggio Emilia dove la polizia uccise sei
dimostranti. Da questo episodio era nata una canzone: Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei, canzone commovente che
fa parte del mio repertorio: anche la cantante Milva ne fece un cavallo di battaglia.
Alcuni mesi dopo lessi la notizia che Fo avrebbe presentato a Trento Il Fanfani rapito, commedia in tre atti, un’altra satira contro il potere democristiano. Il pubblico era composto di giovani soprattutto, compresi anche tanti militari che come me sfidavano le autorità della caserma che non gradivano la nostra presenza a simili manifestazioni. A quei tempi, tra l’altro, c’erano dei militari-spie regolarmente addestrati a “riferire” sui cosiddetti sovversivi. Ma come avrei potuto rinunciare a uno spettacolo comico del carico e del carisma di Dario Fo che recitava all’insegna del castigat ridendo mores? (È pur vero che, vista la mal parata dei politici di oggi, rimpiangiamo quasi i democristiani di quegli anni che, almeno, quando venivano colti con le mani nel sacco scomparivano dalla circolazione).
Il poeta Giannes Ritsos |
Alcuni mesi dopo lessi la notizia che Fo avrebbe presentato a Trento Il Fanfani rapito, commedia in tre atti, un’altra satira contro il potere democristiano. Il pubblico era composto di giovani soprattutto, compresi anche tanti militari che come me sfidavano le autorità della caserma che non gradivano la nostra presenza a simili manifestazioni. A quei tempi, tra l’altro, c’erano dei militari-spie regolarmente addestrati a “riferire” sui cosiddetti sovversivi. Ma come avrei potuto rinunciare a uno spettacolo comico del carico e del carisma di Dario Fo che recitava all’insegna del castigat ridendo mores? (È pur vero che, vista la mal parata dei politici di oggi, rimpiangiamo quasi i democristiani di quegli anni che, almeno, quando venivano colti con le mani nel sacco scomparivano dalla circolazione).
Alcuni anni dopo
nacque il secondo canale della Rai che fu dato in “appalto” ai socialisti che,
nel frattempo, erano entrati nel governo. Quest’apertura a sinistra permise a
Dario Fo di rientrare in TV e presentare il tanto vituperato Mistero Buffo che non era mai stato
gradito non solo ai benpensanti, ma soprattutto alla Chiesa ufficiale. I
telespettatori scoprirono Dario Fo, che, oltre che attore, era anche autore dei
testi che gli avrebbero valso il Nobel per la letteratura nel 1997.
Sulla scena Fo si
presentava non come uno scomunicato, ma come un eretico che rivendicava con
ironia e farsa, mimando, sproloquiando e ridendo il messaggio originario del
Vangelo tradito dalla gerarchia ecclesiastica.
A marzo del 1975
fui congedato dal servizio militare (14 mesi di naja, ma mi ero fatto le ossa,
quanto a vita regolamentata, alcuni anni prima nel seminario di Nardò). Ripresi
la mia occupazione nella biblioteca comunale di Civita Castellana, ma fui
contattato ben presto dal segretario della Sezione Gramsci per aderire
al Pci con tanto di tessera. Da subito ebbi l’incarico di “dirigente stampa
e propaganda” nella direzione e ciò grazie alla stima che mi veniva da più
parti. Per la cronaca, Civita Castellana era soprannominata la “Stalingrado
d’Italia” perché, in tempo di elezioni, il Pci guadagnava in città il 70% circa dei voti. Ciò grazie al fatto che la città era il polo più importante della produzione di sanitari e stoviglierie di tutto il centro Sud, quindi con la presenza di una massiccia realtà operaia molto politicizzata.
Ero un perfetto
funzionario e non disdegnavo di vendere L’Unità
ogni domenica con altri compagni. Di rilievo i tazebao che quasi giornalmente attaccavo nella teca pubblica del partito
che stava in Via Ulderico Midossi, tazebao
che ancora conservo. Ma dovevo fare i conti con l’oste: scoprii che i compagni in
massima parte si adeguavano al pensiero unico dettato dalla direzione del
Pci e dal quotidiano l’Unità. A dire il vero questi panni mi stavano desolatamente stretti: per prima cosa criticavo l’allora Unione Sovietica per l’assenza di
libertà, di pensiero e per il divieto di far viaggiare i cittadini sovietici nel resto
del mondo. Ma criticavo anche l’assenza di libertà nel Partito, perché bastava mettersi
fuori linea o muovere una critica per essere accusato di favorire gli allora gruppi extraparlamentari
che a quel tempo erano odiati più dei fascisti. Il fatto per es. che io
smaniassi per il teatro di Dario Fo (a quei tempi considerato dal Pci un
eretico), non deponeva a mio favore.
Una manifestazione sindacale degli anni '70. Nella foto sono quello col megafono. Foto di Franco Crestoni. |
Accadde che libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Purgatorio, canto I, vv. 70-72). Detto questo non significa che il Pci non abbia avuto grandi meriti nella sua storia: la lotta antifascista e lo stare sempre a fianco dei lavoratori nelle lotte e nelle rivendicazioni salariali. Certo che pagai cara la mia uscita, sia sul piano personale, sia sul posto di lavoro. In Consiglio comunale per giunta si decise che il bibliotecario non dovesse avere più diritto di voto nel Comitato direttivo, unico bibliotecario d’Italia immagino privo di questo diritto. Anni dopo, in ogni caso, la biblioteca sarebbe stata insignita del Premio di Qualità che tuttora conserva.
Agli
inizi del 1991 scoppiò la
Guerra del Golfo. Al Teatro Quirino di Roma, Dario Fo, che
per me era un mito ormai, avrebbe presentato Mistero Buffo. Naturalmente ero ansioso di assistere al suo
spettacolo e partii per Roma insieme con degli amici. Lo spettacolo stava per cominciare,
quand’ecco mi venne di correre alla toilette: dovevo far presto perché le luci
in sala stavano per spegnersi. Varcai la soglia della toilette, dentro non
c’era anima viva. Mi posizionai sul primo orinatoio che trovai, il flusso era
più veloce del solito ché dovevo
sbrigarmi. Quand’ecco un rumore di passi: qualcun altro che aveva avuto la mia
stessa impellenza. Dapprima guardai di bieco la figura che mi si era posizionata
accanto, poi non potetti fare a meno di lanciargli uno sguardo veloce… Ma no, non
era possibile, proprio lui, Dario Fo con quella faccia da clown che si
sbottonava e: “Dario Fo!” riuscii appena a pronunciare con faccia sbalordita. Mi parve imponente Dario Fo (generalmente sul palcoscenico è difficile misurare l’altezza di un attore), ma
lui, consapevole del mio stupore, con fare da teatro mi regalò quel sorriso ironico
e beffardo che mi era familiare ormai e “Pissemo
anche noi” mi rassicurò in un simil dialetto lombardo. Insieme ci dirigemmo al
lavandino per “purificarci” le mani; ci asciugammo e poi la voglia di parlargli,
raccontargli in due secondi la mia vita:
“Mi
chiamo Alfredo, Dario, e ricordo bene quella notte di capodanno del 1974 al capannone con Franca che recitava Epitaffio e Makronissos! E tu che ti scagliavi
furioso contro la strage di operai e sindacalisti che si erano rivoltati nei
cantieri di Danzica in Polonia ed era la prima volta che mi trovavo di fronte a una voce
libera che denunciava a gran voce la situazione della libertà nei
paesi dell’Est, un tasto che non si poteva toccare allora all’interno della
sinistra...”
E
lui, che aveva già addosso il costume di scena, tutto vestito di nero, annuiva
divertito… Quand’ecco una voce accorata che proveniva dalle quinte:
“Dariooo!
Dariooo! dài dài ché è già buio in sala, il pubblico protesta, corri corri, è
tutto esaurito, sbrigati, dài dài!”
“Devo
andare, devo andare! scappo scappo, ciao!” nel mentre mi stringeva la mano.
E
scappai anch’io e mi ritrovai in platea coi miei amici tutti a canzonarmi:
“Ma
quant’acqua c’avevi a bordo?”
“Aoh,
non ci crederete, ma ho pisciato con Dario Fo!”
“Come
come?”
“Sì,
ho pisciato con Dario Fo!”
“Ma
che stai a dì! Che te sei rincoglionito?”
“Ve racconto dopo, mo’ state zitti che lo spettacolo è cominciato.”
E
prima dello spettacolo in programma, Dario Fo non mancò di fare una premessa
sulla Guerra del Golfo satireggiando e sbeffeggiando l’intervento americano,
quindi alcuni episodi del Mistero Buffo,
che son di quelli che anche ad ascoltarli mille volte non ti annoieresti mai.
Stava
in gran forma il nostro Dario: era il 24 marzo e quel giorno compiva 65 anni:
lui stesso ce lo rivelò dal palco e noi a battergli le mani che non finivamo
più.
Nessun commento:
Posta un commento